Amon Amarth + Machine Head: Live Report e foto della data di Milano

Due band che tornano in Italia dopo un’assenza di alcuni anni e un’altra che invece fa il suo debutto nel nostro Paese. Quello a cui partcipiamo è un martedì di autentica festa e, anche se l’associazione fra due band dallo stile diverso come sono gli Amon Amarth e i Machine Head potrebbe creare qualche perplessità sulla carta, nella realtà dei fatti possiamo dire di avere assistito a un live dal grande coinvolgimento e senza sbavature. 

THE HALO EFFECT

I membri della band svedese sono tutto fuorché musicisti di primo pelo. Eppure, nel momento in cui li si vede prendere posto sul palco, la loro emozione è palpabile ed è espressa al meglio dalle parole di un Mikael Stanne sorridente, che ringrazia i presenti dopo pochi brani e ricorda come l’ìItalia sia un Paese a cui è saldamente legato.

Per alcuni questa serata è il concerto dei The Halo Effect, e chi se ne frega di chi li seguirà dopo sul palco. La dimostrazione la si ha subito dalla lunghissima coda creatasi nel primo pomeriggio fino ad arrivare al momento tanto atteso: l’arrivo sul palco del super gruppo svedese. Stanne però ci accoglie con il microfono spento, un dettaglio simpatico vista la sua incredibile esperienza. Anche per la data italiana notiamo l’assenza di Jesper Strömblad, prontamente sostituito per questo tour da Patrick Jensen dei The Haunted. Un’altra piccola nota che vorrei aggiungere riguarda la musica scelta mentre si preparava il palco per i The Halo Effect, che si conclude non a caso: “Dead Alone” degli In Flames, dall’album più controverso della band, “Sountrack To Your Escape”, coincidenze? Chissà…

Dicevamo dell’arrivo di Mikael a microfono spento su “Days Of The Lost”, che inaugura questa serata molto intensa e movimentata. Il pubblico ovviamente risponde immediatamente, conoscendo a memoria l’album di debutto degli svedesi. Palco, audio e performance non sono assolutamente da band debuttante, perché la qualità del personale coinvolto sul palco è di altissimo livello e lo si nota in ogni movimento svolto man mano che il loro concerto prosegue.  Chi invece sembra abbastanza impacciato è il pubblico, nel seguire “Gateways” battendo le mani fuori tempo (cosa che si ripeterà più tardi sia con i Machine Head che con gli Amon Amarth), tanto che Daniel è dovuto intervenire picchiando sui piatti per farci tornare sulla retta via. Purtroppo, per via di un solo album all’attivo e con mezz’ora a disposizione, la loro performance si concentra sui singoli e altri pochi brani di maggior impatto, come “Conditional” o “Last Of Our Kind”. 

C’è poco da dire, i The Halo Effect non hanno nulla da dimostrare ed è più che ovvio che il concerto sia stato magnifico, anche solo perché abbiamo potuto rivedere certi personaggi sul palco come Peter, Daniel e Niklas. Mi aspetto a breve un secondo capitolo discografico seguito da un tour da headliner, sospetto che in quel frangente ci possano essere ben più sorprese… (Riccardo Quarantini)

Setlist:

  • Days Of The Lost
  • The Needless End
  • Gateways
  • Feel What I Believe
  • Last Of Our Kind
  • Conditional
  • Shadowminds

MACHINE HEAD

L’esibizione dei Machine Head è una sorpresa prima ancora del suo inizio. Non sempre chi va ai concerti presta attenzione al brano che introduce l’ingresso di una band sul palco, anzi, forse quel momento viene vissuto con impazienza. Quando ci si accorge però che la band di Robb Flynn ha scelto “Diary Of A Madman”, immortale con i suoi oltre sei minuti di poesia, come segnale per far capire che, ehi gente, stiamo per cominciare, si capisce che stiamo per assistere a un evento di livello altissimo. Il brivido lungo la schiena che accompagna i cori finali di questo grande classico di Ozzy Osbourne si solidifica nella botta di energia trasmesso da questo live. La band sceglie di non perdere tempo in preamboli e di attaccare subito con “Become The Firestorm”, brano recente che regge bene il confronto con i classici del passato, che ci faranno compagnia per poco più di un’ora di concerto. I volumi e il coinvolgimento del pubblico sono tali che il rimbombo ci accompagnerà anche a esibizione finita, per quello che è il momento più assordante (ma in senso buono) di questa lunga serata. Seguono poi una serie di brani classici, arriva “Ten Ton Hammer” e piombiamo a capofitto negli anni 90 più caotici che mai. Flynn aveva promesso un tour in cui si sarebbe ripercorsa la storia della band in tutti i suoi momenti, e così è stato, ben prima di arrivare a”Halo“, con cui si chiude il set. L’impressione è quella di una band più che compatta, che ha nel suo frontman, ovviamente, il fulcro attorno al quale gira un meccanismo impossibile da inceppare. Notevole anche il contatto con il pubblico, incitato e più riprese a scatenare il circle pit, ma attento anche ai momenti più intimi e cupi, come durante “Darkness Within“. Un live di grande impatto, con una band che sa alternare bene i momenti di violenza pura a quelli di riflessione oscura, e i cui brani non risentono, per ora, dello scorrere del tempo.

P.S. Un applauso virtuale a quel giovane che, durante l’esibizione dei Machine Head, ha fatto crowd surfing almeno quattro volte di seguito. Complimenti per l’entusiasmo!

(Anna Minguzzi)

Setlist:
– Become The Firestorm
– Imperium
– Ten Ton Hammer
– I Am Hell (Sonata in C#)
– Choke On the Ashes Of Your Hate
– Darkness Within
– From This Day
– Davidian
– Halo

AMON AMARTH

Brothers, Sisters, Friends… and Vikings! Questa notte la Drakkar degli Amon Amarth è giunta a Milano,  pronta per dare nuovamente battaglia!
Sono le 21.45 in punto quando si spengono le luci in sala e partono le note di “Run To The Hills”, introduttiva al concerto della band svedese, i cui musicisti, più cattivi che mai, sfoderano sin dall’inizio le loro migliori armi.

Che la scorribanda abbia inizio, si parte con una  tripletta micidiale che non lascia sopravvissuti sul campo di battaglia!

Spetta a  “Guardians Of Asgaard”  aprire le danze, ma il pubblico in sala non fa in tempo a riprendersi che seguono nell’ordine “Raven’s Flight” e la  più che mai devastante “Deceiver Of The Gods”, durante la quale sul palco si palesa la figura Loki con il suo scettro imponente.  Come inizio non è niente male!
La band è in forma smagliante, i nostri vichinghi scorrazzano su e giù per il palco, che vede una scenografia consona a un evento di tale portata, in cui fa bella mostra un elmo norreno dagli occhi infuocati, dai quali vengono proiettate diverse rune, su cui fa capolino la batteria di Jocke Wallgren. E poco importa se tutti sanno che gli elmi vichinghi non avevano le corna, anche questo dettaglio rende tutta la scena più epica!

La set list fila via in un lampo con  “The Pursuit Of Vikings” e “The Great Heathen Army”: una carneficina cui segue “Heidrun”, mentre durante “Destroyer Of The Universe”  si toccano livelli di epicità assoluti! Si prosegue con “Put Your Back Into The Oar”,  terza traccia  estratta dall’ultimo album degli Amon Amarth,  e “Cry Of The Black Birds”, mente “The Way of Vikings” vede salire sul palco due Berserker armati di scudi e spade, che si fronteggiano in un duello all’ultimo sangue.

Pur essendo una scaletta ridotta rispetto alle precedenti calate italiche, la band ha comunque proposto 14 brani ben amalgamati fra loro per un totale di 75 minuti, in una location che si è dimostrata all’altezza dell’evento e con una partecipazione di pubblicao altissima, che ha sfiorato, se non raggiunto il sold out. I presenti partecipano a ogni canzone intonando ritornelli e cori e si immergono in pieno nell’atmosfera pagana che questa sera imperversa decisa all’interno del Fabrique.

Il fragore della battaglia ci annuncia che è arrivato il momento di “Shield Wall”, ma è con la successiva  “First Kill” che ci si rende conto che siamo quasi giunti  ai saluti finali; prima però  è il momento di alzare  le  corna al cielo con la trascinante “Raise Your Horns”. 

E non è finita! Johan Hegg e il suo clan tornano a imbracciare gli strumenti, alle spalle della band si scatenano fulmini e saette e, neanche a dirlo, ci si appresta a vivere l’ultimo combattimento grazie a “Twilight Of The Thunder God”. Questa volta non ci saranno sopravvissuti, Johan Hegg impugna il suo Mjöllnir, col quale ucciderà il serpente di Miðgarðr, a voler simboleggiare l’eterna lotta fra il bene e il male.

Adesso è davvero finita, Skål ! (Fabio De Carlo)

anna.minguzzi

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E' mancina e proviene da una famiglia a maggioranza di mancini. Ha scritto le sue prime recensioni a dodici anni durante un interminabile viaggio in treno e da allora non ha quasi mai smesso. Quando non scrive o non fa fotografie legge, va al cinema, canta, va in bicicletta, guarda telefilm, mangia Pringles, beve the e di tanto in tanto dorme. Adora i Dream Theater, anche se a volte ne parla male.

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