Devastanti. Questo sono gli Alice In Chains oggi, a prescindere dal passato. Una band forte di un amalgama che arriva ben prima delle registrazioni dell’ultimo splendido "Black Gives Way To Blue", album la cui solidità è testimoniata dall’impatto che hanno i sei pezzi da esso estratti e riproposti con veemenza al Gran Teatro di Padova, a fianco dei classici della band e a discapito del pur eccellente lavoro omonimo del 1995, di cui viene proposta solamente "Again".
La forza della band è da rintracciare nella potentissima sezione ritmica, nell’ipnotico ed intrigante intrecciarsi delle voci di Jerry Cantrell e del sorprendente William DuVall, perfetto pure nel rivestire i panni del frontman inteso in senso tradizionale: fattori che contribuiscono a trascinare il pubblico nel vortice musicale degli Alice In Chains e rimanerne prigionieri per quasi due ore, senza cali di intensità, sempre a fissare negli occhi DuVall e Cantrell. Che non dimenticano – e come si potrebbe? – Layne Staley, figura fondamentale di ciò che è stato il grunge, scomparso davvero troppo presto ma la cui poesia continua a vivere anche grazie a serate come questa.
Poco opportuno elencare pedissequamente la setlist, meglio allora sottolineare alcuni dei momenti che hanno scandito la serata: dopo la sfuriata iniziale – splendide "Again" e la dissonante "Check My Brain", il colpo del ko gli Alice In Chains lo piazzano già al quinto pezzo con la monumentale "Them Bones", uno dei manifesti di quello che è stato l’ultimo vero turning point nella storia dell’hard rock, con buona pace di chi è arrivato dopo. Il pubblico è già in visibilio, ma la band si supera con una versione di "Dam That River" che trascinante è dir poco: assieme a "Them Bones", una doppietta che restituisce in tutta la sua deflagrante potenza lo spirito (auto)distruttivo di "Dirt", capolavoro ancora attuale da cui è estratta pure la più melodica (si fa per dire) "Rain When I Die". Senza fiato, ecco arrivare la pelle d’oca per "Your Decision" e "No Excuses", ovvero quell’intimismo che è l’altra faccia della medaglia, pure complementare a quella più potente e diretta, allo stesso modo emozionante. Più avanti nella scaletta, da segnalare la commovente "Nutshell", dedicata a Staley, e le melodie di "Lesson Learned", uno dei pezzi più affascinanti di "Black Gives Way To Blue". Nel finale, "Angry Chair" si trasforma in "Man In The Box", primo grido di disperazione urlato da Layne Staley nell’esordio "Facelift": agghiacciante appello di chi si sente solo ed abbandonato, presagio di ciò che avverrà anni dopo.
Prima di andare a casa Cantrell, Inez, Kinney e DuVall regalano al pubblico "Would?" e "Rooster", altri due grandi esempi di come scrivere musica con cuore e passione, altre due occasioni per stabilire con personalità la propria capacità di tramsettere emozioni forti.
Finora, il concerto dell’anno.