Recensione: From The New World

Maestro indiscusso del progressive, symphonic e classic rock, nominato per undici volte agli Oscar della musica (Grammy) e soprattutto autore nel 1982 di uno di quegli album che hanno fatto la storia del rock (chi non ha mai sentito “Eye In The Sky” oppure “Sirius”?), Alan Parsons torna a pubblicare un disco registrato in studio dopo quel “The Secret” che – tre anni fa – aveva a sua volta interrotto un digiuno creativo lungo quindici anni. Sulla carriera dell’artista londinese non c’è poi molto da aggiungere: attivo dagli anni sessanta, quando ebbe l’opportunità di lavorare come ingegnere di studio su “Abbey Road” dei Beatles, Parsons collaborò con Paul McCartney, John Miles, The Hollies, Al Stewart ed i Pink Floyd e formò il proprio “Project” nel 1975 con il produttore e compositore Eric Woolfson, pubblicando dieci dischi che spesso raggiunsero le prime posizioni in classifica sia nel Regno Unito che negli States. Ritornato nel 1994 con l’Alan Parsons Live Project, Parsons ha avviato nella seconda parte della propria invidiabile carriera un’attività live su scala mondiale che lo ha visto portare i propri successi all’attenzione di un pubblico vecchio e nuovo, impegnato nel frattempo a comporre nuovi brani che potessero dare nuova linfa al suo percorso d’autore.

Accompagnato da oltre una ventina di musicisti di fama mondiale (tra i quali potremmo citare Joe Bonamassa, Tommy Shaw degli Styx, i cantanti David Pack e James Durbin, oppure ancora il batterista Danny Thompson), Parsons torna dunque con undici nuovi brani certamente opulenti dal punto di vista degli arrangiamenti, ma anche caratterizzati da una durata sempre abbastanza contenuta che si attesta tra i tre ed i quattro minuti: un dato freddamente numerico, ma che in un certo senso restituisce la dimensione di un disco accessibile, nel quale le canzoni sono come delicati acquerelli capaci di accompagnarci lungo stati d’animo diversi. L’openerFare Thee Well” è quanto di più Parsons si potesse sperare per riprendere le fila di un discorso: languida ed orchestrata come usava negli anni settanta, è il pezzo che non ti aspetteresti proprio all’inizio ma che sembra messo lì per comunicare – soprattutto – quel senso di continuità che buona parte del pubblico si aspetterà da questa nuova uscita. E se anche lungo la scaletta si incontreranno momenti leggermente più coinvolgenti e ritmati (“Halos” è la mia preferita, ma anche “The Secret” e “You Are The Light” sono un gradevole esempio), “From The New World” rimane un album estremamente elegante e compassato (“Uroboros”), in un certo senso natalizio (“Goin’ Home”), privo di qualsivoglia contrasto e spigolatura, capace tuttavia di mantenere una dimensione umana (“Give ‘Em My Love”) nonostante la perfezione formale del suo materiale. Un album che, allo stesso tempo, sembra dare corpo all’ambizione – da parte di Frontiers – di spingere sull’acceleratore della diversificazione per entrare nel club dei classici senza tempo, del rock adulto a trecentosessanta gradi, senza naturalmente rinnegare la propria anima hard rock e nostalgica.

Perfetto per l’ascolto in vinile, formato che in questa occasione non può quindi mancare, “FTNW” è un lavoro saldamente ancorato al passato (“Don’t Fade Now”) in sorprendente contrasto con il suo titolo, che rinuncia ad ogni forma di intensità per rispondere – con la quieta serenità dei suoi arpeggi – alla frenesia delle nostre giornate. E’ un disco che prova a trovare alcune risposte nel collaudato, che ribadisce con ostinazione le sue origini, e che a tratti riesce nell’intento di far rivivere un tempo mitico che niente ha a che fare col nuovo mondo (“Obstacles”), ma che tuttavia continua ad esercitare su molti di noi un certo fascino vellutato e sbiadito (“I Won’t Be Led Astray”). A conti fatti non si tratta di un approccio deludente, perchè per certi versi questo materiale rappresenta esattamente tutto ciò che di elegante e soppesato – e stilisticamente ingessato – associamo al marchio “Parsons” ed ai suoi trascorsi da geniale ingegnere del suono: tuttavia, l’impressione è anche quella che “From The New World” non sia un disco propriamente inclusivo e moderno, nel momento in cui sceglie di ricalcare continuamente le proprie orme (rifilando anche una trascurabile cover di “Be My Baby”) invece di stringere nuove amicizie, accompagnandole per un centinaio di metri alla scoperta di una qualche forma d’ignoto.

Marco Soprani

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Folgorato in tenera età dalle note ruvide di Rock'n'Roll dei Motorhead (1987), Marco ama fare & imparare: batterista/compositore di incompresa grandezza ed efficace comunicatore, ha venduto case, lavorato in un sindacato, scritto dialoghi per una skill di cucina e preso una laurea. Sfuggente ed allo stesso tempo bisognoso di attenzioni come certi gatti, è un romagnolo-aspirante-scandinavo appassionato di storytelling, efficienza ed interfacce, assai determinato a non decidere mai - nemmeno se privato delle sue collezioni di videogiochi e cuffie HiFi - cosa farà da grande.

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