Recensione: The Boats Of The Glen Carrig

Giunti al traguardo del quarto album in studio, i tedeschi Ahab si confermano una garanzia per chi segue la manifestazione più lacrimevole e introspettiva legata al doom metal. Autori di un concept di carattere nautico richiamato dalle sempre suggestive copertine degli album, i nostri tornano sul mercato discografico con “The Boats Of The Glen Carrig”, platter basato sull’omonima novella horror dello scrittore britannico William Hope Hodgson.

Inutile aspettarsi una revisione della formula sonora che ha portato la band a costruire questa traduzione del funeral doom romantica e personale, il disco riprende intatte le sonorità del precedente “The Giant” e si propone di portare avanti intatto il percorso lirico e sonoro cominciato una decina di anni fa. “The Boats Of The Glen Carrig” conta cinque lunghe suites dove la band bilancia al meglio un lato melodico e introspettivo a passaggi plumbei e funerei. Ottimo in questo senso il lavoro delle chitarre di Chris Hector, in particolare nei chiaroscuri acustici e spesso venati di reminescenze seventies che abbelliscono i brani, a volte accompagnati da carezzevoli note di pianoforte (l’incipit di “The Isle”).

Quando meno ce lo aspettiamo ecco che gli Ahab affondano nei meandri del doom più cupo, i suoni avanzano lenti e sofferti guidati dal drumming potente e severo di Cornelius Althammer, mentre le splendida voce di Daniel Droste abbandona il crooning evocativo per diventare un growl profondo e cavernoso, ma ricco di interpretazione. Parla bene “The Weedmen”,uno dei brani più spigolosi del lotto dove la band mostra i muscoli, al quale funge da contro altare “Like Red Foam (The Storm)”, traccia scelta come singolo ed episodio più snello e fruibile, per quanto non manchi la consueta introspezione dettata dalla giusta dose di melodia.

Per quanto ormai l’effetto sorpresa sia venuto meno, gli Ahab ribadiscono tutte le qualità che li hanno resi una realtà solida e apprezzata dalla nicchia di pubblico che supporta questo panorama musicale. Il loro puntare sull’impatto emozionale e sulla semplice bellezza delle composizioni, si rivela di nuovo la mossa giusta.

Andrea Sacchi

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Poser di professione, è in realtà un darkettone che nel tempo libero ascolta black metal, doom e gothic, i generi che recensisce su Metallus. Non essendo molto trve, adora ballare la new wave e andare al mare. Ha un debole per la piadina crudo e squacquerone, è rimasto fermo ai 16-bit e preferisce di gran lunga il vinile al digitale.

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