Acciaio Italiano 2016: Live Report e foto del festival

14 maggio 2016, ed è di nuovo Acciaio Italiano Festival: l’edizione di quest’anno vede la presenza di grandi band, come al solito patrocinate dalla Jolly Roger Records di Antonio Keller, e si sposta al Borderline di Modena per il raduno che da sempre attira gli appassionati della scena nazionale. Il tempo atmosferico, poco clemente, rovescia secchiate d’acqua a volontà sui dintorni di Modena, costringendo (si fa per dire) il pubblico presente ad assieparsi all’interno del locale fin dalle sue prime esibizioni. Il rovescio della medaglia è che l’ambiente di dimensioni contenute ne rende difficile la vivibilità con l’avanzare delle ore; ad ogni modo, le band che si esibiscono valgono qualche sacrificio. Si comincia puntualmente con i Crimson Dawn, entusiasmanti come sempre grazie a un sound originale, mai troppo pesante, e a una tenuta di palco affascinante. Sotto i loro cappucci scarlatti e violacei, i lombardi sanno come interessare da subito i presenti.

I laziali Godwatt hanno un approccio un po’ meno caloroso rispetto ai presenti e un sound un po’ più ostico. Per chi non conosce i brani del disco d’esordio, “L’Ultimo Sole“, potrebbe non essere facilissimo seguire le articolate escursioni vocali del cantante Moris Fosco, che comanda il terzetto; tuttavia anche la loro è un’esecuzione interessante e solida, con i musicisti piantati solidamente sul palco, immobili ma coesi fra loro.

Si cambia totalmente atmosfera, una caratteristica da sempre presente nelle edizioni passate di Acciaio Italiano, quando salgono sul palco i toscani Deathless Legacy. Costumi, trucco esagerato, mimi e ballerine, vedere la band dal vivo è una gioia per le orecchie e per gli occhi; anche chi non dovesse essere amante dell’horror rock, a cui il gruppo si ispira, non può rimanere indifferente di fronte a quello che non è solo un concerto, ma un vero e proprio spettacolo teatrale, fatto di tecnica musicale e tentativi di dare originalità a un genere di cui si possono esplorare ancora tante sfaccettature.

Hanno pubblicato da poco un nuovo album, intitolato “Space Pirates“. La formazione attuale dei Rain (di cui, ricordiamo, non a parte nessun membro originale) gioca quasi in casa e cattura l’attenzione dei molti presenti con uno show tutto sudore, chitarre a mille e brani che rispecchiano in pieno quello che è lo stile del gruppo da alcuni anni a questa parte.

Con l’arrivo sul palco dei Black Oath si assiste a un nuovo cambio di atmosfera per questa edizione del festival. Dove i presenti si sono scatenati sotto il palco con il sound festaiolo dei Rain, i nuovi venuti portano una folata di vento ghiacciato nei cuori di ciascuno. La loro è un’esibizione tutta d’un fiato, senza pause e praticamente senza nessuna comunicazione verso il pubblico, fredda e distaccata, e se in un primo momento il gruppo appare molto interessante, grazie ad esempio al bel timbro vocale del cantante e chitarrista A.th, a lungo andare risulta difficile seguire con lucidità. Del resto, chi ci assicura che non sia effettivamente questo il loro intento?

Si cambia ancora una volta atmosfera quando salgono sul palco i romagnoli Witchwood, che prendono parte ad Acciaio Italiano per il secondo anno di fila, sono reduci da una delle due semifinali per la Wacken Metal Battle italiana e sono stati nominati miglior band italiana emergente dai lettori di Rock Hard. Se ancora ci fossero dei dubbi sulla loro eccezionale bravura, possiamo aggiungere che, oltre a presentare alcuni estratti dal loro album “Litanies From The Wood“, la band si cimenta nel classico degli Uriah HeepGypsy“, ficcandoci in mezzo anche il tema portante di “In -A -Gadda -Da -Vida” e che, nel finale di Gypsy”, Bud Ancillotti sale sul palco per cantare insieme alla band. Uno dei momenti più emozionanti e tecnicamente perfetti di tutto il festival.

L’orario è tardo quando salgono sul palco gli Hyaena. La band è quella di due leggende come Gabriele Bellini alla chitarra e Ross Lukather (famoso anche per i suoi trascorsi nei Death SS), affiancate dai nuovi inserimenti rappresentati dalla bassista Isabella Ferrari e dalla cantante Claire Briant Nesti, che introduce subito il concerto con una versione a cappella della parte più celebre di “Nessun Dorma“, mostrando le sue doti canore di stampo lirico.  Brani che vengono dal demo “Metamorphosis“, che risale ben al 1987, e gustosi pezzi come “Phenomena“, cover della colonna sonora del film omonimo e dove la cantante stupisce per la potenza esplosiva delle sue corde vocali: un suono un po’ impastato della chitarra inficia la prova, che può definirsi tutto sommato buona e un ottimo e succulento antipasto prima del gran finale.

Bud Ancillotti calca le assi del palco dell’Acciaio Italiano come headliner per la terza volta e stavolta lo fa con gli Ancillotti, un’incarnazione che vede la presenza del figlio Brian alla batteria, del fratello Bid al basso e di Ciano alla chitarra. Il cantante rappresenta l’incarnazione del metal made in Italy da sempre, una sorta di Ozzy Osbourne tricolore che ha sempre messo passione, sangue, sudore e vita in ogni concerto e album. Le anticipazioni della prossima imminente prova discografica suonano bene (titoli come “To Hell With You“e “Fight“), accompagnati da grandi classici come “Legacy Of Rock” e “Warrior“, che consegnano al pubblico un gruppo esaltante, in grado di consumare le restanti energie del numeroso pubblico rimasto a godersi il concerto dello zio Bud. La degna conclusione di un festival come questo, in nome della musica vera, della fratellanza e di tutto ciò che incarna il vero spirito del metal: grazie, Ancillotti.

anna.minguzzi

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E' mancina e proviene da una famiglia a maggioranza di mancini. Ha scritto le sue prime recensioni a dodici anni durante un interminabile viaggio in treno e da allora non ha quasi mai smesso. Quando non scrive o non fa fotografie legge, va al cinema, canta, va in bicicletta, guarda telefilm, mangia Pringles, beve the e di tanto in tanto dorme. Adora i Dream Theater, anche se a volte ne parla male.

Fabio Meschiari

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Musica e birra. Sempre. In spostamento perenne fra Asia e Italia, sempre ai concerti e con la birra in mano. Suonatore e suonato, sempre pronto per fare casino. Da Steven Wilson ai Carcass, dai Dream Theater ai Cradle of Filth, dai Cure ai Bad Religion. Il Meskio. Sono io.

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