Con “Horror Vacui” avevamo già assistito ad una parziale metamorfosi, ma è con “10” che si compie il cambiamento. Se prima l’italiano aveva un ruolo abbastanza circoscritto, ora è diventato un vero protagonista. Come e mai la scelta di pubblicare un album totalmente in italiano?
Per noi è stato tutto molto graduale e, in un certo senso, il piacere di scrivere in italiano era una necessità intima di tutti noi linea. Volevamo confrontarci con la nostra lingua in maniera più completa di uno o due episodi all’interno di un disco.
Rispetto ai precedenti album direi che con "10" vi siete completamente messi allo scoperto. I testi tacciano completamente la realtà dei nostri tempi senza fare esclusioni. Come mai un album così introspettivo?
Beh in realtà anche i precedenti dischi erano molto introspettivi ma erano cantati in inglese, quindi,se mi passi l’espressione, davano meno nell’occhio. Poi in italiano è parecchio sottile la linea tra poesia e banalità, quindi l’unico modo per essere onesti con se stessi e, di conseguenza, con chi avrebbe ascoltato il disco, era quello di aprirsi ed essere più intimi e personali.
Dal vostro MySpace si apprende che “10” non è titolo dato a caso, ma che è ricco di significati. Tra questi si apprende che “10” è anche il numero delle vostre uscite musicali. Che bilancio fareste di questi vostri dieci capitoli musicali?
Il bilancio non può che essere positivo considerando soprattutto il fatto che siamo in Italia. Sembra una banalità detta cosi, ma ti assicuro che la situazione italiana sembra quasi una barzelletta, sia per quanto riguarda la discografia, sia per quanto riguarda il mondo del live e dei concerti insomma. Pochissima professionalità per quanto riguarda chi organizza i concerti, o meglio, sono rari i casi in cui si trova una situazione decente. Per quanto riguarda la discografia invece c’è un po’ di ignoranza, ma nel senso più puro del termine, per quanto riguarda i vari canali promozionali, oppure il coraggio di prendere alcune decisioni.
Siete una delle poche band che, pur facendo un genere poco commerciale, si ritrova nel palinsesto di MTV, canale seguitissimo da giovani e giovanissimi. Quanto è importante questo per voi? Quanto è importante per voi sapere che i vostri messaggi raggiungono molti giovani?
Sinceramente non riesco mai a rendermi conto di quanto magari la nostra musica sia importante per chi ascolta. Ho un rapporto abbastanza intimo con quello che facciamo e, forse, troppo spesso faccio l’errore di pensare che lo stia facendo solo ed esclusivamente per me e noi Linea. Ma preferisco vederla in questo modo piuttosto che mettermi inutili pressioni addosso ed aver magari paura di dire cose che offendono o che magari non piacciono al pubblico che ci ascolta e ci viene a vedere nei live.
Con i vostri testi volete dare un messaggio molto forte al vostro pubblico, una scrollata a chi sta fermo a guardare e lascia che tutto scorra. In particolare nell’album fate riferimento alla vicenda di Eluana Englaro, caso che spaccò l’Italia sollevando mille e più domande. Che significato ha per voi aver scritto ed interpretato una canzone come "Il Senso"?
"Il Senso" racconta a grandi linee la storia di Eluana Englaro, ma questa canzone è e rappresenta l’ennesima critica al sistema Italia, un paese dove casi come questo sono solo un’occasione per ribadire i valori cristiani e farli accettare a tutti per forza come cucchiaiate di olio di ricino, oppure delle occasioni per fare campagna politica e sciacallaggio mediatico. Un paese, come al solito, di piccole iene pronte a saltare sul carrozzone del vincitore o a sposare le cause di chi in quel momento fa la voce "grossa".
Spesso vi dicono che da “Numb” in poi avete perso la vostra indipendenza, che vi siete venduti adeguandovi alle leggi del mercato. Quanto è vera questa cosa? Si sente spesso dire che per fare musica bisogna scendere a compromessi. Il fatto di avere un contratto con la Universal vi pone limiti?
Mi fanno ridere certi commenti. Gli unici compromessi che abbiamo accettato son quelli con noi stessi, nessuno ci ha mai imposto decisioni dall’alto, anche perché sarebbe durato poco il rapporto. Abbiamo sperimentato con la NOSTRA musica e, soprattutto, sulla NOSTRA pelle prendendoci tutte le conseguenze. Non abbiamo mai obbligato nessuno a seguirci e non abbiamo mai detto a nessuno di essere i messia di chissà quale setta. Cosa c’è di più HARDCORE di fare quello che vuoi tu senza compromessi con il mondo che ti circonda? E noi Linea siamo figli di quella concezione, che se qualcuno non è d’accordo può benissimo andare a sentire qualcos’altro. Il mondo è pieno di gente che per due soldi ti ripropone la stessa FORMULA MUSICALE per decenni, cosa che trovo di una noia psico-fisica allucinante, ma loro sono visti come artisti COERENTI e non come artisti privi di attributi. Tu invece, che provi a mettere in discussione qualcosa, sei tacciato di VENDUTO. Quello di cui la gente non si rende conto è che i LINEA sono persone normalissime che dopo 15 anni che suonano hanno voglia di provare esperienze e sensazioni nuove, di certo non proverò mai l’eroina ma magari un pezzo acustico me lo faccio. Per la cronaca, comunque, Universal non ha mai messo parola su quello che abbiamo fatto. Non siamo un gruppetto di ragazzini che si mettono nelle mani del Cecchetto della situazione. La nostra storia è diversa e il nostro background è fatto di altre cose.
Parlando della produzione vera e propria dell’album, ho letto che avete registrato ancora una volta in California da Toby Wright. Come mai la scelta di produrre il disco all’estero?
Perché con Toby si è deciso di lavorare in situazioni e posti che lui conosceva meglio da un punto di vista tecnico e lavorativo, e poi mettere il naso fuori da questo piccolo e gretto paese fa sempre bene. Tra le altre cose ci è costato meno che farlo in Italia.
Questo album è molto diverso dai precedenti, sia come sonorità che a livello di testi. Le opinioni sono contrastanti, ma è sul palco che uno può palpare la realtà. Che impatto ha avuto sul pubblico e su voi stessi? Il rapporto con i fan è cambiato?
I fans stanno iniziando ad apprezzare il nuovo disco sempre di più dal vivo e l’interazione con loro sta crescendo. Come tutte le cose nuove ci vuole sempre un po’ di tempo per farle entrare nella pelle di chi le ascolta, ma abbiamo avuto ottime risposte.
Nel corso della vostra carriera siete stati coinvolti in diversi progetti tra cui Rezophonic. Come è nata la vostra partecipazione? Cosa rappresenta per voi?
E’ stata un’ottima esperienza soprattutto dal punto di vista umano. Aver conosciuto altri artisti e persone come Mario Riso, l’ideatore di tutto il carrozzone Rezophonic, è stata una bellissima sorpresa. Poi pensare che con delle note e delle strofe cantate si riesca a costruire qualcosa di reale, come dei pozzi in Africa che aiutano delle persone realmente bisognose.. beh ..non ha eguali
In conclusione.. In questi anni abbiamo visto l’avvio di numerosi progetti paralleli: Dade con gli Antianti, Dade e Tozzo nei Caesar Palace e, in ultimo, il tuo duetto con gli Rfc. Quali sono i vostri progetti futuri?
In questo momento sto collaborando con un rapper torinese di nome Mac, e ho collaborato con walter degli Assalti Frontali nel suo progetto solista. Mi piace un sacco fare dei featuring. Trovo che certe collaborazioni siano sempre un bene e portino a conoscere altri modi di vedere la musica e altri modi di approcciarsi ad essa, quindi un fattore di crescita personale, sempre.