“Back to the roots”, niente di meno. La scelta fatta dai Pestilence di “raccontare” un pezzo di storia del death metal europeo ha pagato. I primi 4 album, dal 1988 al 1993, da “Malleus Maleficarum” a “Spheres”. Non una canzone di più. Ecco quindi la necessità di tributare il giusto amore (sì, di questo parliamo ) per una scena scomparsa anni fa e che vuole ritornare anche tra le nuove generazioni. Ed allora ben venga questo tour, ben venga recuperare un lustro di storia della musica heavy metal.
L’Alchemica di Bologna, carico di passione, ha raccolto l’urlo di una band che ha seminato tanto e raccolto poco considerando i molti meriti da appuntare al petto come medaglie.
Sudden Death
Prima di tutto, prima di ascoltare musica da Olanda e Brasile, ci pensano i nostrani Sudden Death a riscaldare l’anima di un pubblico sempre più presente. Spariti dai radar per qualche tempo, i romani ritornano con un suono più compatto spogliato dal thrash e rivestito di grind e scorie metalcore. Bravi, interessanti nel tempo a disposizione ma non del tutto convicenti agli occhi (e orecchie) del pubblico. Applausi, sì, ma più che altro una sensazione di generale freddezza in risposta alle canzoni proposte. Da risentire. Magari anche da disco.
Distillator
Dopo i romani Sudden Death, ecco ritornare indietro le lancette dell’orologio indietro di 35 anni o giù di lì. Quasi un nuovo 1983, massimo 1984. L’epoca d’oro del thrash metal, quando “I Metallica erano i Metallica” (cit. metallaro nostalgico medio) e quando gli Slayer proponevano una musica che sembrava provenire da una copula selvaggia tra Judas Priest ed una motosega arrugginita.
Sul piccolo palco dell’Alchemica il trio olandese si riesce a muovere con rapidità e sicurezza, mostrando una buona padronanza dei propri mezzi. Un pugno di canzoni dal sapore antico, che sin dal primo riff sai già dove andranno a parare. C’è qualcosa di sbagliato in tutto questo? No, assolutamente. È la scelta di mettere un paio di scarpe comode, conosciute ed apprezzate. Nonostante le toppe e gli anni passati. “Guerrilla Insurgency”, “Revolutionary Cells” ed una manciata di altre canzoni per una band che non sarà mai “rivoluzionaria”. Bravi, nonostante tutto.
Rebaelliun
Da Porto Alegre con – MOLTO – furore. Un pò Krisiun, un pò Morbid Angel e perchè no anche Sepultura dei bei tempi che furono (“Quando ancora c’erano Max e Igor” cit. Metallaro nostalgico medio). Questo il cocktail messo in campo dal trio verdeoro (assente Ronaldo Lima), che ha subito iniziato a picchiare durissimo con un death metal serrato e feroce. Suoni più che discreti, una buona presenza scenica e tanta voglia di macinare suono.
“Spawning The Rebellion”, Anarchy (The Hell’s Decrees Manifesto), “Legion” e poi “At War”: queste tra le frustate dei nostri. Non un gruppo di prima fascia, certamente, ma sicuramente dei validi “operai dell’heavy metal”. Passione, determinazione, pochi fronzoli ed idee chiare. Avete per caso bisogno d’altro?
Pestilence
Patrizio Marco Giovanni Mameli rappresenta il cuore dei Pestilence, Patrick Mameli è ancora oggi l’anima di una band che in tempi non sospetti “ideò” una versione moderna e tecnicamente evoluta del death metal. Trame complesse, mai banali e che cercavano di spingere “oltre” la visione metallica. Primi dischi epocali, autentici cambi di prospettiva, e proprio quei primi dischi (Da “Malleus Maleficarum” a “Spheres”) ad essere protagonisi assoluti di tutto il live. E proprio da lì si è partiti, con “Malleus Maleficarum / Antropomorphia”: scheggia impazzita che subito ha fatto capire ai ragazzi presenti sotto il palco che le cose da lì a poco si faranno dannatamente serie.
“Parricide” e “Subordinate to the Domination” alzano il livello dello scontro, lo capiscono anche i fan a “distanza di sicurezza” dal palco, quando osservano le prime linee pogare con una forza incredibile, seguendo solo in maniera apparentemente caotica le scudisciate “Made in Pestilence”.
La tensione continua a salire e “Twisted Truth”, “Land Of Tears” e Presence Of The Dead” parlano chiaro, così come la risposta dei fan sempre più intensa. Buoni i suoni dei nostri, piuttosto chiari ed in grado di rendere convincenti anche dal vivo le trame di canzoni ancora oggi complesse ed innovative.
Patrick – nonostante i natali olandesi – è ancora un “Paisà” a tutti gli effetti: casinista, coinvolgente con il pubblico sufficientemente spaccone sul palco (“Ehi ragazzi, non me ne frega un cazzo se salite sul palco e fate casino, ma se mi toccate ancora una volta i pedali della chitarra vi ammazzo”) e con un pizzico di “sorpresa salutista” nello scegliere di bere latte (!!!! Nda.) durante tutto il set.
Promossi. Bravo Patrick, bravi tutti.